LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 15

 

5 febbraio 2017 – 5ª domenica del Tempo Ordinario

Ciclo liturgico: anno A

 

Io sono la luce del mondo, dice il Signore;

chi segue me, avrà la luce della vita.

 

 

Matteo 5,13-16  (Is 58,7-10  -  Salmo: 111  -  1 Cor 2,1-5)

                

O Dio, che nella follia della croce manifesti quanto è distante la tua sapienza dalla logica del mondo, donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra.

 


 

  1. Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
  2. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte,
  3. né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
  4. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Spunti per la riflessione

Luce, sale.

Avete perfettamente ragione.

La pagina delle beatitudini è per pazzi. E folle è chi pensa che qualcuno, oltre a Gesù, abbia anche solo provato a viverla, riuscendoci.

O forse no.

Perché, dopo quelle parole tese come vento invernale, Gesù ci ammonisce. Essere suoi discepoli e non osare, non provare, non diventare pescatori di umanità, trasparenza di Dio, significa diventare persone che si nascondono nell’ombra, sale senza sapore, significa condannarsi a vivere una vita insipida.

Solo che, e non lo sapevo fino a qualche tempo fa, il sale non può mai perdere il suo sapore.

Lo conserva per sempre, anche in situazioni di umidità.

Come a dire: se non dai sapore alla tua vita, se la tua presenza di cristiano non rende sapida la vita degli altri, significa che non hai mai veramente incontrato Cristo.

Se non fai luce è perché non sei ancora stato acceso.

E l’unico che può accenderti è Cristo.

Il fuoco.

L’unico che da sapore alla nostra estenuante ricerca di felicità.

 

Guaritori feriti

So già cosa molti di voi hanno pensato.

Non sono capace, non sono in grado, non posso farcela. Troppe ferite, troppi limiti, troppi difetti, troppa paura, troppa poca fede.

No, non è così. Il discepolo sempre e per sempre resta ferito, sempre e per sempre deve combattere contro le sue paure, le sue ombre. Ma, paradossalmente, siamo scelti proprio perché feriti.

Diventiamo dei guaritori feriti, peccatori perdonati, non brilliamo di luce propria, non scherziamo, non siamo diversi o migliori. Siamo stati accesi.

Come dice splendidamente Paolo scrivendo ai Corinzi: io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso

Non dobbiamo convincere, ma essere. Non dobbiamo vendere un prodotto, ma accogliere e vivere una novità di vita. Non dobbiamo far luce, ma restare accesi attingendo alla fiamma viva della Parola. Non portiamo noi stessi ma un Dio donato.

Guaritori feriti che sanno riconoscere il dolore di chi incontriamo, compatirlo, e orientarlo verso la guarigione profonda operata dal Maestro. Peccatori perdonati, proprio per avere conosciuto la tenebra e l’ombra, sanno incoraggiare i peccatori, senza giudicarli e senza ingannarli.

 

Come?

Frequentando la Parola, costruendo comunità sostenuti dai segni della presenza del Signore che sono i sacramenti, guardando alla luce, insaporendo la nostra vita con la visione che Dio ha sulle cose. La candela non sa di far luce, brucia. E si consuma.

Isaia ci indica il percorso, il modo concreto di restare sale, di brillare della luce di Dio:

 

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,

il puntare il dito e il parlare empio,

se aprirai il tuo cuore all’affamato,

se sazierai l’afflitto di cuore,

allora brillerà fra le tenebre la tua luce,

la tua tenebra sarà come il meriggio.

 

Vivere nella giustizia, anzitutto. Senza compromessi, senza pigrizia, senza cedimenti. Coerenti senza diventare fanatici, misericordiosi, non intransigenti. Ed evitare di giudicare e di vivere schiavi del giudizio altrui. Purificare il linguaggio sempre più violento. Aprire il cuore alla compassione verso chi ha fame (di pane, di attenzione, di giustizia), saziare chi è afflitto nel cuore dedicandogli tempo e ascolto. Tutte cose che Cristo per primo ha vissuto. E che possiamo vivere nella Cafarnao in cui siamo, tirando fuori l’umanità dal nostro cuore e dalle persone che incontriamo.

È così povero di verità e di umanità questo nostro mondo! Così insipido e scuro! Così rassegnato e pieno di rabbia?

Persone scontente, sempre, di tutto, che alternano momenti di cupa rassegnazione a scatti d’ira e di follia!

A tutti possiamo dare sapore, a tutti possiamo indicare una strada, un percorso.

Perché noi per primi lo abbiamo ricevuto.

 

Applausi

No, certo, non giochiamo a fare i puri, i buoni, i bravi cattolici.

Non giochiamo a fare i santi, non vogliamo abbracciare la santa ipocrisia che così tanto male ha fatto al Vangelo. Vogliamo solo appassionatamente, immensamente, fortemente seguire colui che ci ha cambiato la vita. E credere, credere con tutte le nostre forze che la strada da lui indicata ci porta alla verità e alla pienezza.

 

Possiamo essere un enorme e svettante cero pasquale, o un piccolo lumino scaldavivande.

Ma se non siamo accesi siamo solo un pezzo di cera.

Seguire Gesù agnello di Dio, accogliere come reale possibilità di vita le beatitudini, accendono il nostro cuore, danno sapore alla vita.

Alla nostra e a quella degli altri.

Così, senza nemmeno saperlo, la luce che ci abita illumina il cuore degli altri. Che rendono gloria a Dio, non a noi, che lodano la luce, non la fiamma o la candela.

E così, tutti, accesi, illuminati, insaporiti, costruiamo il Regno.

Come il sale, ne basta un pizzico per dare sapore.

Come la fiamma, basta una candela per illuminare una grande Cattedrale.

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

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Esegesi biblica

 

IL SALE DELLA TERRA E LA LUCE DEL MONDO (5, 13-16)

 

La funzione dei discepoli è illustrata dalle metafore casalinghe del sale in quanto condimento e dell’unica lampada che illuminava la casa di una sola stanza del contadino palestinese.

Nella spiegazione, le due immagini (5,16) vengono riferite alle “opere buone” dei discepoli. Vivendo secondo l’insegnamento di Gesù, gli uomini manifesteranno la bontà del “loro padre che è nei cieli”. Questo probabilmente è il senso originale delle immagini.

 

Nel testo di Mt la metafora è ampliata con la possibilità della perdita del sapore del sale e dell’occultamento della lampada sotto il moggio; chi non attuerà l’ideale di vita dei vangeli sarà ripudiato. La similitudine analoga della città posta sul monte, che non è spiegata, sembra sia un detto sapienziale popolare intrufolatosi nel contesto.

 

Nella cornice del discorso questi detti servono da introduzione al lungo brano successivo, in esso i discepoli vengono istruiti sul modo in cui essi possono diventare il sale della terra e la luce del mondo, e viene loro spiegato quali sono le opere buone attraverso le quali Dio è glorificato.